Approfondimento: meccanismo del power bleaching

Il power bleaching prevede invece, oltre all'uso di perossido di idrogeno (dal 15 al 38%), anche l'uso di una sorgente di energia per catalizzare la reazione. Rispetto agli altri trattamenti alla poltrona senza fotoattivazione si possono usare concentrazioni di perossido di idrogeno inferiori con il vantaggio di una minore sensibilità dentinale.

Generalmente il perossido di idrogeno in questo tipo di procedura è sottoforma di polvere che viene miscelata al momento dell'uso con un gel attivatore per garantirne al massimo la stabilità chimica. Il gel attivatore, oltre a contenere i polimeri che ne migliorano le proprietà tissotropiche, contiene anche dei fotoiniziatori o dei fotoattivatori specifici in base al tipo di sorgente di energia usata che, assorbendo particolari lunghezze d'onda, si attivano e accelerano la scomposizione del perossido di idrogeno nei suoi sottoprodotti (queste sostanze sono coperte dal segreto industriale e ogni produttore ha la sua). Inoltre sono spesso presenti delle basi deboli poiché la ionizzazione del perossido di idrogeno tamponato con un pH tra 9,5 e 10,8 produce più radicali liberi peridrossili HO-2. Il risultato è un più 50% dell'effetto sbiancante nello stesso tempo rispetto a altri valori di pH.

Per quanto riguarda la sorgente di energia questa può derivare da una lampada alogena, a luce ultravioletta, a led, al plasma o da un laser.

Il dentista, a seconda della sorgente utilizzata, deve seguire un protocollo che dipende dal tempo di esposizione, dall'intensità della luce (mW/cm2), dalla lunghezza d'onda e naturalmente dal fotoattivatore o dal fotoiniziatore contenuto nel gel sbiancante.

Per entrare un attimo nello specifico ci sono principalmente due meccanismi foto-catalitici che liberano diversi radicali liberi all'interno del gel: uno fotochimico (lunghezze d'onda corte, fotoni con alta energia) e uno fototermico (lunghezze d'onda lunghe, fotoni con meno energia ma con più effetto termico), in base a quello predominante vengono generate diverse quantità di radicali.

Allo stato attuale delle conoscenze non abbiamo ancora la risposta su quale delle due lunghezze d'onda sia più efficace e non si conoscono ancora perfettamente tutti i meccanismi di azione.

Le lampade per lo sbiancamento sono dotate di un particolare cristallo che diffonde la luce contemporaneamente a entrambe le arcate (full-arch) e alcune hanno anche la possibilità di montare un puntale più piccolo per la polimerizzazione delle resine composite. Naturalmente hanno dei software specifici che consentono di erogare la luce secondo cicli predeterminati di potenza e di tempo, in modo da intervallare periodi di emissione a periodi di non emissione così da non fare surriscaldare eccessivamente il dente. Inoltre alcune di queste lampade sono a “luce fredda” in quanto hanno particolari filtri che, eliminando le lunghezze d'onda lunghe, fanno arrivare sulla superficie dentaria una luce che non surriscalda la polpa permettendo loro di effettuare cicli di emissione continui.

Ultimamente è stata proposta una tecnica che prevede l'attivazione di un iniziatore della reazione da parte di una sorgente di ultrasuoni, ma per avere lo stesso risultato rispetto a quello delle fonti di energia tradizionali è necessario continuare il trattamento per qualche giorno a casa.

 

 

 

 

 
       
 
 

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